"Amavo mio padre, ma presi le parti di mia madre, perché non conoscevo le circostanze. Avevo appreso da lei a odiare e diffidare degli uomini - lei odiava gli uomini. Ed io giurai che non sarei mai stata schiava di nessun uomo."
La Signorina Julie
August Strindberg scrive la Signorina Julie nel 1888. Ben presto questo piccolo dramma in un atto diventa un manifesto del teatro naturalistico. Oggi dopo più di cento anni abbiamo deciso di riproporlo in veste moderna, senza realmente preoccuparci delle implicazioni e stratificazioni storiografiche e di genere teatrale.
Oggi come allora Julie e Jean combattono la loro schermaglia d’amore senza esclusione di colpi, inesorabilmente attratti l’uno dall’altra a dispetto di tutti gli ostacoli che si trovano davanti. Ostacoli sociali, ma anche psicologici, di opportunità, di convenienza. Ostacoli che nel nostro allestimento si materializzano come impedimenti fisici che i personaggi dovranno scavalcare e distruggere per inseguire la propria felicità.
Il desiderio però si rivela illusione, la voluttà delusione, il sogno nebbia fugace e alla fine la salvezza si ritrova soltanto nella sicurezza linda e metodica di una tavola ben apparecchiata.