Una finta ammalata fra ispirazioni e trasposizioni
Goldoni con la sua grande produzione di commedie, costruisce il teatro italiano di repertorio, attingendo per i suoi scenari ai più svariati autori drammatici coevi e precedenti, così come era ampiamente in uso nella prassi teatrale dalla metà del cinquecento in poi. Buona parte degli spunti per il teatro europeo deriva dal secolo d’oro del teatro spagnolo con il suo vasto repertorio di autori e commedie, basti pensare che solo a Lope de Vega sono attribuite milleottocento commedie!
Anche Goldoni non si fa scrupolo di prendere spunto dagli autori più disparati e nel caso della “Finta ammalata” si ispira ad una commedia balletto di Moliere: “L’amore Medico”, prima annacquata incursione nell’ambiente medico da parte del commediografo francese ben otto anni prima del celebre “Malato Immaginario”. Fra incursioni e ispirazioni anche la nostra “Finta Ammalata” si è trasformata in “Malata immaginaria”, facendo il verso al primo ispiratore ma restando al cento per cento frutto della penna di Goldoni.
Fin dal cinquecento era uso comune ambientare anche i drammi antichi in abiti contemporanei. Consuetudine che permarrà intatta fino a tutto l’ottocento, per cui non era raro vedere opere ambientate nell’antica Roma disinvoltamente recitate in abiti settecenteschi, basti ad esempio la celebre “Clemenza di Tito” di Pietro Metastasio per la musica di Mozart. Da qui in un’altra vertiginosa trasposizione, che proietta la nostra storia dalla metà del settecento alla Venezia dei primi anni del novecento.