Sceneggiatore e regista, Francis Veber nasce il 28 luglio 1937 a Neully sur Seine (Francia) da una coppia di scrittori ed ha iniziato la sua carriera come giornalista, per poi passare alla scrittura di commedie, sketch e lavori teatrali, diventando presto uno degli sceneggiatori più ricercati degli anni '70. Proprio nel 1970 la sua prima sceneggiatura cinematografica prende vita sullo schermo con “Appelez-moi Mathilde”, film diretto da Pierre Mondy, mentre il 1972 è l’anno in cui si mette in evidenza come sceneggiatore brillante con il film “Alto biondo e…una scarpa nera” di Yves Robert. Il successo però busserà alla porta di Francis Veber solo sei anni dopo con lo script de “Il vizietto”, diretto da Edouard Molinaro, interpretato da Ugo Tognazzi e Michel Serrault, vincitore di un Golden Globe come miglior film straniero e candidato a tre premi Oscar, tra cui quello per la miglior sceneggiatura non originale. In questi sei anni comunque il suo lavoro è sempre in attivo: nel 1976 con “Professione…giocattolo” debutta come regista, poi sempre con il suo compagno di soggetti cinematografici Pierre Richard gira “La Capra” (1981), interpretato da Gérard Depadieu, il cui sodalizio porterà al successo internazionale del film e si ripeterà con “Les compères – Noi siamo tuo padre” (1983), seguito da “Due fuggitivi e mezzo” (1986). Di quest’ultimo Veber dirige anche una versione americana con Nick Nolte e Martin Short. Dopo alcuni alti e bassi arrivano altri due grandi successi: “La cena dei cretini” (1989), film tratto dall’omonima pièce teatrale scritta dallo stesso Veber, e “L’apparenza inganna” (2000), con Daniel Auteil e Gérard Depardieu, presente anche nell’ultimo film “Stai zitto…non rompere” (2003), girato in coppia con Jean Reno. Ma è soprattutto “La cena dei cretini” con i suoi grandi successi (tre Césars, per il miglior attore protagonista, per quello non protagonista e per la miglior sceneggiatura) a far conoscere a tutto il mondo Francis Veber, facendolo diventare così uno degli esponenti di punta della cosiddetta “commedia alla francese”. Sono ormai quindi anni che vive negli Stati Uniti, ma la sua impronta francese non si è cancellata, come il suo modo banale di trattare temi comuni. La struttura teatrale (che ha influenzato notevolmente la resa cinematografica) è molto semplice, infatti le tre regole Aristoteliche dell’unità di azione, spazio e tempo sono rispettate: l’appartamento di Pierre Brochard si presta come scenario alla commedia degli equivoci, in una sera come tante altre nella Parigi perbenista. L’appartamento, arredato con oggetti rari e preziosi, è la dimora perfetta per una persona come Pierre, il moderno “self made-man”, ricco per quanto riguarda il conto in banca, ma povero nei valori. Ma per fortuna a cena Pierre ha invitato proprio François, il suo esatto contrario, che lo aiuterà , con qualche frenetico susseguirsi di malintesi, a rimetterlo sulla giusta strada, e a togliere dall’appartamento tutto quel superfluo che rendeva la vita di Pierre una bella e sciccosa confezione regalo. Pignon è un eroe, (un po’ goffo, ma al giorno d’oggi è vero che i superuomini sono demodè), perché ha il coraggio di dimostrare di essere quello che gli altri non vedono o non vogliono vedere, ed è questo che lo rende più forte dei grandi eroi, i quali hanno nel cuore un eroismo innato. La commedia gioca molto sui contrari sia per quanto riguarda i personaggi che per le situazioni. Pierre e François sono l’esatto contrario, ma anche Christine e Marlène sono due donne molto diverse: la moglie una donna dolce e sensibile, con un carattere che contrasta questa primo strato. Il suo carattere è in realtà forte e determinato, lascia il marito anche se per lui potrebbe aver perduto l’amore della sua vita Leblanc, mentre Marlène apparentemente, con il suo stile di vita zen è calma e rilassata, basta, infatti una telefonata per farla andare su di giri. Tra gli infitti intrecci e le innumerevoli gag che colorano la commedia si nasconde un messaggio, forse banale ai giorni nostri, ma pur sempre vero: i soldi danno o tolgono la felicità ?
...continua
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