Di quanto è già stato detto
I pagliacci opera verista, manifesto del movimento, libretto e musica di Ruggero Leoncavallo, dramma musicale a tinte forti, ricco di contaminazioni stilistiche, discusso capolavoro, grande successo di pubblico. Questi i presupposti sui quali poter iniziare una lunga prolusione all’opera o procedere alla rilettura della stessa. Senz’altro ci si potrebbe dilungare ad analizzare le arie più celebri; il “Vesti la giubba”, il prologo, il coro delle campane e via dicendo. I personaggi, l’irascibile Canio che ricorda Otello, la bella Nedda eroina Bohemien, Tonio bruttura fisica e morale novello Iago ispirato al Verdiano Rigoletto.
Ma tutto questo non basta per capire il successo di questa opera. Non bastano le bugie veriste per confezionare un risultato così eclatante e duraturo. Forse il tema popolare, forse la forte emotività, forse tutto quanto già detto combinato in questa alchimia?
Leoncavallo scrive l’opera di getto in pochissimi mesi, la struttura drammaturgia è piuttosto debole, la struttura musicale costruita su continui rimandi passa da una semplicità esile, ad architetture troppo articolate e cervellotiche. Ma il complesso è funzionale e il finale mozzafiato. Il tutto è così profondamente umano. La finzione della verità, il teatro nel teatro, i personaggi appena abbozzati, la gelosia, il tradimento, la passione, la sessualità, la vendetta. L’intellettuale Leoncavallo abbandona la ricerca logorante e si esprime col cuore con tutto l’impaccio di chi non è abituato a farlo. Ecco cosa mi colpisce e scuote. La profonda umanità. Il fatto che Leoncavallo ce l’abbia fatta a consegnarsi alla storia, il fatto che tutti i richiami ispirativi rimescolati insieme indossino un abito nuovo, il fatto che i personaggi e la vicenda così irrisolti divengano, quasi casualmente, degli antieroi perfetti e quindi dei personaggi moderni e reali.
Da questa riflessione scaturisce l’intento poetico perseguito nell’allestimento di questa rilettura.
Per amore, per pietà, per merito
Falstaff, modello Shakespeariano dell’antieroe, tranquillizza Comare Ford, che gli si promette, dicendole: “sappiate Comare Ford ch’io me lo merito!”. Canio accasciato, avvilito, dopo aver urlato rabbioso, non tanto il dolore ma l’offesa arrecatagli dal tradimento di Nedda, ne il “No! Pagliaccio..” si abbandona alla riflessione intima:
“Sperai, tanto il delirio accecato m’avea…
Se non amor, pietà…, mercè…”.
Canio come Falstaff si pone arbitro di se stesso! Non si colpevolizza.
Ecco individuato, a mio avviso un punto importante, per la comprensione del verismo operistico.
Nessun colpevole, ne buoni, ne cattivi, ma uomini con metabolismi, esperienze, aspettative diverse.
Gli ideali Romantico ed Illuminista, salvificano i propri eroi e condannano i cattivi, educano alla ricerca del miglioramento individuale e civile. Don Giovanni discende all’inferno e Faust perde l’anima, lo stesso Falstaff viene ghettizzato dal moralismo di Windsor e tutti i gabbati hanno a trarre profitto dalle proprie ingenuità, debolezze, errori.
I personaggi Veristi per la prima volta non sono costretti a capitolare sui propri errori, non sono eroi o principesse, archetipi leggendari o fiabeschi, ma comuni mortali gente di tutti i giorni che vive di straordinaria quotidianità e profonda miseria.
Tonio quindi non è più il braccio di Mefisto ma vittima della propria esistenza, Nedda subisce l’incanto della Belle Epoque e delle suffragette si legittima fedifraga, Canio uccide prevaricando la giustizia ma ottiene clemenza magnanime innanzi al giudizio per aver creduto nel sogno sbagliato. Tutti vittime e carnefici. Tutti gabbati senza ricorso.
L’uomo moderno, sconfitto dagli ideali, asseconda e legittima le sue debolezze. Rivendica il diritto alla propria individualità e non accetta il silenzio della solitudine che ne consegue.
Canio, Tonio, Silvio, Nedda chiedono amore. Peppe costruisce un’ideale moderno, costruisce i suoi sogni e accetta la propria solitudine, trasmette passione, dona amore, ma viene comunque travolto e sconfitto dagli eventi.
SILVIO – Se non per l’amore… solo per pietà… magari… per merito.
Per l’amore che t’ho dato e tutto quello che ho buttato, sarei disposto d’essere accolto anche per pietà o anche solo… per merito dopo tanta dedizione e tante speranze. Nedda, Nedda, perché la pazzia del mio amore non travolge anche te. Temo che questa notte non arrivi più, temo i tuoi dubbi e i tuoi ripensamenti, perché non sei già qui con me… Canio è un’ombra che svanisce nel passato…..corri da me ti prego!
..Ma Dubito e fremo!
Il destino è ingrato, non paga mai i tuoi sacrifici e quando tu vorresti riscuotere ti dice aspetta c’è tempo, siediti! Intanto beviti un po’ di sangue caldo…è un pugno nello stomaco e a me toglie il respiro!
NEDDA (mentre si maschera da Colombina) - Se non per l’amore… solo per pietà… e perché no!… per merito.
Per l’amore che ho dato e tutto quello che ho buttato, per pietà che vivo così… dopo tanto tempo almeno per merito! … dopo tanta sofferta indifferenza, dopo tutte le angherie subite vorrei… poter pensare serenamente al futuro.
…sospiro e tremo!
Il destino è ingrato, esige la riscossione dei suoi debiti e non importa se hai lavorato duro e se ormai credevi di esserti meritata di godere un po’ di felicità! …è ora il momento! ... vieni avanti tocca a te!
A me ora annebbia la vista… ed ogni prospettiva a me davanti sfuma nei contorni dell’orizzonte… cosa sarà domani!?
PEPPE (Mentre prova i motti di Arlecchino) - Se non per l’amore… per pietà… o meglio … per merito.
Per l’amore che ho dato e tutto quello che ho buttato, per pietà di me stesso che lavoro instancabile … perché me lo merito Cristo Santo!
Cosa viene in mente a tutti quanti! Canio!… Nedda!… ribellatevi agli effetti del fato! ..seguitemi…
…sono qui…brucio le mie passioni sui legni del palco, scappo dalla vita!
Non riportatemi indietro sto bene qui!
…tentenno e credo!
Il destino è ingrato, ti culla d’illusioni e poi …un giorno ti apre gli occhi che sei già grande ….ecco i tuoi sogni!
Prendili! …tu li prendi… li guardi…e non capisci cosa sono! Ti guardi indietro e ti dici dove sono stato tutto questo tempo! Fra poco si va di nuovo in scena ma la realtà ha posato il suo respiro sul palco ed io temo il peggio!
TONIO (tra sé avviandosi a proscenio con la grancassa) - Se non per l’amore… per pietà… e soprattutto… per merito.
Per l’amore che ho dato che è pari tutto quello che ho buttato, per pietà, per quella pietà nauseante che mi avvilisce… per quel che sono, per merito della mia intelligenza e della mia volontà! Mi preparo ad assistere allo spettacolo della vita! Dopo aver stuzzicato le perverse fantasie del fato! Ma non sono sereno!
…ansimo e tremo!
Il destino è ingrato, ti usa come macchina fautrice del caos e non t’invita a cibarti delle sue gioie, forse egli stesso non gode ma regola la giustizia con scrupolo e lungimiranza! A me ora confonde i pensieri e spacca il fiato!
(al pubblico) Signori accorrete al grande spettacolo delle 23
Da “I Pagliacci” - Atto secondo – Monologhi del Destino -
...continua
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