La Malata Immaginaria

Di Carlo Goldoni - Commedia brillante

Spassosa commedia, ove Goldoni fa il verso a Moliere con una raffinata parodia sulla medicina e su improbabili dottori alle prese con un'ammalata ribelle e alla ricerca del vero amore. 

Durata spettacolo: 2 ore compreso intervallo

Spettacolo adatto a tutti


Una finta ammalata fra ispirazioni e trasposizioni

Goldoni con la sua grande produzione di commedie, costruisce il teatro italiano di repertorio, attingendo per i suoi scenari ai più svariati autori drammatici coevi e precedenti, così come era ampiamente in uso nella prassi teatrale dalla metà del cinquecento in poi. Buona parte degli spunti per il teatro europeo deriva dal secolo d’oro del teatro spagnolo con il suo vasto repertorio di autori e commedie, basti pensare che solo a Lope de Vega sono attribuite milleottocento commedie!

Anche Goldoni non si fa scrupolo di prendere spunto dagli autori più disparati e nel caso della “Finta ammalata” si ispira ad una commedia balletto di Moliere: “L’amore Medico”, prima annacquata incursione nell’ambiente medico da parte del commediografo francese ben otto anni prima del celebre “Malato Immaginario”. Fra incursioni e ispirazioni anche la nostra “Finta Ammalata” si è trasformata in “Malata immaginaria”, facendo il verso al primo ispiratore ma restando al cento per cento frutto della penna di Goldoni.

Fin dal cinquecento era uso comune ambientare anche i drammi antichi in abiti contemporanei. Consuetudine che permarrà intatta fino a tutto l’ottocento, per cui non era raro vedere opere ambientate nell’antica Roma disinvoltamente recitate in abiti settecenteschi, basti ad esempio la celebre “Clemenza di Tito” di Pietro Metastasio per la musica di Mozart. Da qui in un’altra vertiginosa trasposizione, che proietta la nostra storia dalla metà del settecento alla Venezia dei primi anni del novecento.

Dal settecento al novecento le parole di Goldoni calzano a perfezione e l’immaginario della Venezia di Goldoni, con le sue finte ammalate e improbabili dottori, sembra ricalcare perfettamente quella decadente evocata da Thomas Mann quasi centocinquant’anni dopo.  Perché la storia di amore e ipocondria della nostra malata immaginaria ha risvolti ben più freudiani di quanto la sua data di composizione, il secolo dei lumi, faccia supporre. La finta malattia di Rosaura infatti è generata dall’apprensione del padre, Pantalone, che, unico fra i personaggi, non sembra avvedersi, o forse non vuole avvedersene, dell’amore della figlia verso il Dottor Onesti. Solo nel finale la tempesta creata dalle finte malattie di Rosaura si placherà e gli innamorati potranno sfuggire alla stretta paterna, mentre tutti gli altri personaggi resteranno, come su una nave in balia delle onde, alla ricerca di soluzioni forse introvabili senza l’apporto salvifico dell’amore.  

R. Malesci