La Tempesta di William Shakespeare

Regia Raffaello Malesci 


Enigma Tempesta

Con il secondo anno della Scuola dell’Attore affrontiamo “La Tempesta” di William Shakespeare. Uno degli ultimi lavori del drammaturgo inglese, il più enigmatico, l’unico per cui non è possibile risalire ad una fonte di ispirazione certa, come invece accade per quasi tutti gli altri lavori teatrali di Shakespeare.

Shakespeare divorava libri di storia inglese, ma soprattutto novelle e commedie italiane (Bandello, Giraldi Cinzio, Ariosto), da cui aveva tratto quasi tutti gli spunti per le sue commedie e tragedie di successo. Con la Tempesta invece incontriamo uno Shakespeare in fine carriera, che probabilmente sta già programmando il suo ritiro nella natia Stradford.

Stava passando la mano. Infatti l’ultimo dramma attribuito al bardo, Enrico VIII, venne scritto insieme a John Fletcher (nessuna parentela con la Signora in Giallo), a cui poi passerà il “mestiere”. Perciò possiamo immaginarci il nostro William che ormai si dedica ad altre letture, come i racconti di viaggio. Da qui nascono probabilmente gli spunti per “La Tempesta”, le riflessioni ironiche sul buon governo dell’isola, ma soprattutto il personaggio di Calibano, il selvaggio, l’essere allo stato primigenio, non toccato dalla civiltà.

Shakespeare crea una storia di magia, intrisa di danze, canti e spettacoli perché così richiedeva la nuova moda nei teatri londinesi, dove imperversavano con grande successo le compagnie formate da ragazzini e dove si era scoperto un nuovo modo di fare teatro, al chiuso, nel teatro di Blackfriars. Una novità che permetteva di allestire grandi effetti scenici, coreografie e balli.

Stava arrivando il teatro barocco. Siamo nel 1610, Don Chisciotte è del 1605, nel contempo arrivavano copiose storie di esplorazioni e altre notizie rivoluzionarie, Galileo, Keplero; insomma il mondo stava cambiando. Shakespeare, da solido professionista com’era, si adatta, sa che il pubblico ha sempre ragione, inserisce magie, spiriti, mascherate: i sogni citati nel celebre monologo di Prospero.

Ne esce un testo enigmatico, polimorfico, singolare, con accenti comici, magici e drammatici. La Tempesta fu poi riadattata nel corso del seicento e quasi scomparve in seguito dal repertorio teatrale. Il “mito” Tempesta nasce nel novecento: lo spettacolo prebarocco concepito da Shakespeare si trasforma in commedia della riflessione sulla vita, sul tempo, sulla vecchiaia, sul teatro stesso, le sue forme e la sua comunicazione.

Certo si parla di teatro nella Tempesta, ma sarà con il novecento, l’epoca post teatrale in cui il teatro è forma d’arte minore, elitaria, che le tematiche della Tempesta salgono in cattedra per catechizzare stuoli di registi impegnati in riflessioni alte e concettuali. Shakespeare fece altro: un testo che poteva rivaleggiare con il nuovo teatro degli effetti e delle magie delle compagnie concorrenti, come sempre un testo per il pubblico, per i suoi desideri.

Un po’ di magia, tanta comicità, un selvaggio, una storia d’amore, un po’ di politica, un po’ di tempesta all’inizio con qualche bell’effetto, un ballo finale, una mascherata di carnevale quasi verso la fine. Intrattenimento in cui però Shakespeare mette qua e là le sue solite zampate, le sue incredibili riflessioni sulla vita e sul mondo, sulla natura, sul governo, sull’ingenuità del buon selvaggio.

Noi abbiamo lasciato il più possibile, togliendo poco e divertendoci a mettere in scena. Oggi, in tempi di monologhi, il nostro grande artificio, il nostro effetto speciale è il gruppo, gli attori, le persone: lì stanno oggi i sogni.

Raffaello Malesci