Sarto per signora

di Georges Feydeau

Regia Raffaello Malesci

Stagione teatrale 2024


Scambi d’identità, sotterfugi, equivoci, amori segreti sono gli elementi base per questo divertente vaudeville.
La commedia è ambientata a Parigi e narra del dottor Molineaux, fresco di matrimonio ma dai dubbi comportamenti coniugali. Il protagonista in questione, infatti, avendo un animo libertino, tradisce la moglie con un'avvenente signora, e per poter incontrare la sua amante senza destare alcun sospetto si finge sarto, creando così una serie di simpatiche ed esilaranti gag che coinvolgono tutti i protagonisti della pièce. 

Una comicità tipicamente di situazione, amplificata dal virtuosismo tecnico dell’autore capace di assommare colpi di scena comici ed equivoci con la precisione di un chirurgo.

 

Il teatro degli equivoci, l’equivoco del teatro

Il teatro francese, o meglio il teatro parigino dell’ottocento era una perfetta macchina di intrattenimento che regalava alla grande città, il faro culturale dell’Europa della Belle Époque, una varietà di proposte molteplice e poliedrica, oltre ad una vita notturna che fu e resta leggendaria. 

Georges Feydeau è uno dei grandi autori di questo teatro di intrattenimento. Le sue commedie garantiscono un divertimento infallibile e spensierato, perfettamente inserito nella filosofia di vita della classe dominante: quella ricca borghesia degli affari e delle professioni che fu l’ossatura sociale del secondo impero e successivamente della terza repubblica francese. 

Infatti l’ambientazione delle commedie di Feydeau è solidamente borghese: riproduce in modo accurato e naturalistico l’ambiente casalingo del suo pubblico, fatto di belle case con molti domestici, di agiatezza e di una vita sociale intensa e spensierata. Il pubblico che affollava i teatri si riconosceva perfettamente nei personaggi messi in scena da Feydeau. 

Medici, alti ufficiali, funzionari della macchina ministeriale, industriali arricchiti, giovanotti mondani, dame del bel mondo, mogli annoiate, figlie viziate e così via. La nobiltà è completamente scomparsa dalle scene e quando è presente è citata solo a fini comici e irriverenti, come l’improbabile regina di Groenlandia nella nostra commedia. La politica è altrettanto bandita. La vita è mondana, edonista, libertina; la critica sociale inesistente. 

I tradimenti sono all’ordine del giorno, gli scambi di persona anche. Tutti equivocano perché recitano in scena una vita che è equivoca. La facciata esteriore incarna il perbenismo borghese: le buone maniere, i solidi principi morali, la fedeltà allo status quo, l’agiatezza del denaro e della rendita. La realtà è la vacuità della noia, l’adulterio, l’indifferenza. I personaggi di Feydeau mettono in scena la borghesia del lavoro e delle professioni, ma non hanno la benché minima etica del lavoro, anzi la mettono in ridicolo: o non lavorano per niente o ridicolizzano la propria professione sottintendendo che si fanno pagare pur non avendo alcuna preparazione o professionalità. 

La comicità è una perfetta macchina ad orologeria spinta dall’equivoco, dal “misunderstanding” direbbero gli inglesi. L’incomprensione di sé stessi e degli altri è costantemente in agguato e si assomma ad altri fraintendimenti ed equivoci. Il finale esplode nell’assurdo, il naturalismo della commedia si disgrega nell’iperbole, nell’impossibile, nell’inverosimile. 

È il teatro che si sta trasformando: non è più legato alle compagnie di giro, ma diventa industria, sfornando titoli su titoli, standardizzando le produzioni a Parigi per poi esportarle tali e quali in provincia. Questo teatro richiede autori cottimisti, non più capicomici alla Moliere, che scrivevano per loro stessi, o alla Goldoni legati ad una precisa compagnia di attori. Bensì autori che scrivono per un teatro che è macchina, centro di produzione commerciale e industriale. Feydeau è uno dei maggiori di essi insieme al suo maestro Eugene Labiche. Ma ce ne furono tantissimi della Parigi del secondo ottocento. Da questa nuova professione di drammaturgo, scaturirà lo sceneggiatore dell’arte cinematografica che dominerà l’intrattenimento del novecento. 

Il teatro degli equivoci di Feydeau è l’ultima stagione di un teatro di massa, che con il novecento diverrà esso stesso un equivoco: non più al centro del mondo, ma isolato, prodotto di nicchia, rito votato a riflessioni per lo più inascoltate di alta cultura. Feydeau oggi ci farebbe una commedia perché il teatro stesso gioca da troppo tempo a fare quello che non è, e non è mai stato. Siamo in attesa che ritrovi la sua strada. 

Raffaello Malesci