La Cameriera Brillante

di Carlo Goldoni
Commedia brillante
In collaborazione con La Scuola dell'Attore


La Scuola dell’Attore riprende il suo percorso da Carlo Goldoni, forse il nostro maggiore innovatore teatrale, colui che nel settecento ha saputo unire la tradizione della commedia dell’arte e il mestiere del grande teatro di intrattenimento, svincolandolo dalla committenza nobiliare e rivolgendolo alla borghesia, con una chiara e programmatica visione di rinnovamento teatrale.

La cosiddetta “riforma goldoniana” sarà infatti l’ultima esperienza italiana di questo genere: un vero tentativo organico e ragionato di modificare la prassi e la teoria teatrale. Passato il settecento questa funzione di innovazione passerà oltralpe, in Francia, ma soprattutto in Germania con la grande stagione di innovazione iniziata dalla compagnia dei Meininger, conclusa poi dalle teorie estetiche e teatrali di Richard Wagner, che cambieranno per sempre la visione del teatro, l’architettura teatrale, la sua impostazione pratica.

Un teatro di grande tradizione dunque che pone gli allievi a confronto con una scrittura di notevole mestiere e perizia, con elementi di assoluta innovazione e residui persistenti del teatro dei ruoli e delle maschere della commedia dell’arte italiana.

Con la Cameriera Brillante, presentata intorno al 1754, Carlo Goldoni introduce il cosiddetto “teatro nel teatro”, sdoppiando il palcoscenico e presentandoci diverse scene in cui nella commedia si gioca alla commedia. I personaggi interpretano una parte per degli altri personaggi, che, assistendo, interpretano la parte di spettatori, pur essendo a loro volta personaggi.

Certo non è la prima volta che i drammaturghi utilizzano questo espediente scenico, basti ricordare la recita di “Gonzalo” nell’Amleto shakespeariano; tuttavia in questo caso Goldoni non inserisce una recita come espediente narrativo, come motore di un’azione, con “attori” che recitano gli attori come accade nell’Amleto, bensì fa “giocare” al teatro i propri personaggi.

Nel “Teatro Comico” del 1750 Goldoni mette in scena attori che interpretano le prove di una commedia per riflettere sulla macchina teatrale, sui metodi di recitazione. Lo scopo era giustificare la riforma, rimettere al centro della prassi teatrale l’autore, imporre in un certo senso un regista ante litteram.

Nella nostra “Cameriera Brillante” il gioco meta teatrale è tutto interno ai personaggi, serve per “vedersi dentro”, per riconoscersi nei propri difetti, nella propria caricatura.

Insomma Goldoni anticipa di centosettant’anni Luigi Pirandello, costruendo una commedia nella commedia che serve da svelamento interiore per i nostri personaggi. Essi si riconoscono e si accettano, si mettono a nudo per essere capiti. La falsità della recita serve a scoprire la verità della persona, base indispensabile per coronare il matrimonio risolutore fra le coppie di amanti e fra Pantalone e Argentina, un matrimonio fra persone di età e condizione sensibilmente diversa.

Chiaramente non può esserci traccia dei rigurgiti psicanalitici novecenteschi tipici di Pirandello sull’essere e apparire, ma scopriamo in questa commedia, ingiustamente dimenticata, un gioco di specchi fra essere e recitare, che inevitabilmente coinvolge anche il pubblico in sala.

Un affastellarsi di specchi e riflessi da cui gli attori del settecento ci salutano con un sorriso, ricordandoci che da allora nulla è cambiato e che ancora oggi, guardando la commedia di Goldoni, stiamo guardando noi stessi.

Alla fine ci rimane il dubbio che forse i veri attori inconsapevoli della “commedia umana” siamo proprio noi seduti comodamente in platea.